Antonio Motta

Antonio Motta nasce a Ronco il 19 gennaio 1951 in una grande famiglia. Vive insieme ai nonni paterni, Pietro e Giuseppina, i genitori, Maria e Domenico, i fratelli Angelo, Pietro, Enrico e Melania.

Conduce una vita semplice di campagna. Aiuta a lavorare la terra seguendo i ritmi contadini: la sera a letto presto e sveglia prima dell’alba per andare a servire Messa come chierichetto alla celebrazione delle 6.

Sin dai primi anni Antonio si distingue per le sue marachelle. Come quella volta quando durante la Messa del mattino per gioco inizia a parlare nel citofono della sacrestia, che è collegato ai microfoni della Chiesa. “Pronto chi parla? La signora Carla. Pronto, chi vuole? La signora Iole. Pronto, chi dice? La signora Bice.” ascoltano gli increduli partecipanti alla Messa quella mattina. Meno male che il parroco, don Biagio, è molto affezionato ad Antonio e gliele perdona tutte.

Allegro e vivace, è molto apprezzato anche dai suoi compagni. Ogni volta che si alza dal banco fa un sacco di boccacce che fanno ridere tutti a crepapelle! Tanto che la maestra un giorno ha dovuto convocare anche la mamma Maria, pregandola di raccomandare ad Antonio di essere più disciplinato.

A 17 anni Antonio perde il papà e la mamma Maria prende le redini della famiglia. Tutti devono contribuire e dare una mano in casa. Antonio fa la sua parte e inizia a lavorare come falegname. Una volta finite le scuole superiori, comincia a fare il pendolare a Milano. Dopo qualche anno inizia l’università serale, seguendo i corsi dopo il lavoro.

È in questo periodo che nasce la sua passione per la corsa, che lo accompagnerà per tutta la vita.

Inizia giocando a calcio, prima con gli amici all’oratorio, poi nella squadra del Merate. Corre per allenarsi e si vede subito che la corsa è il suo sport. In campo lo chiamano non a caso come il giocatore della nazionale Domenghini, perché corre tanto quanto lui.

Un trauma al ginocchio lo costringe ad appendere al chiodo le scarpe coi tacchetti. È allora che comincia a correre sempre più spesso e con metodo, e si iscrive all’associazione sportiva CTL3. Una volta iniziato a correre, non si ferma più.

Corre in settimana almeno una volta ogni due giorni durante la pausa pranzo. Corre ogni domenica con gli amici e spesso partecipa anche a corse competitive, collezionando molte vittorie. La sua gara ideale è il mezzofondo di 10-20 km, ma la gara alla quale è più affezionato è la Monza – Resegone. Vi partecipa in diverse edizioni e quando non riesce a partecipare segue il passaggio dei corridori sulla statale, incitandoli di cuore.

Nel 1981 si sposa con Loredana, conosciuta sul treno durante i viaggi per Milano. Da questo amore nascono quelli che Antonio chiama “i miei gioielli”, Francesca e Gabriele.

Con sacrificio ed impegno porta a termine gli studi, si laurea e cambia occupazione, cominciando a lavorare a Paderno. Antonio si dimostra molto dedito al suo lavoro cui dedica spesso anche il sabato e la domenica per migliorare il rendimento dell’azienda. È molto apprezzato e benvoluto dai colleghi, che si rivolgono a lui in ogni occasione.

Anche in famiglia è un punto di riferimento, disponibile e attento, capace di trasmettere con poche parole affetto, appoggio, positività, ottimismo, sia nei momenti di gioia che nelle difficoltà.

Così è anche per gli amici: per loro le porte di casa sono sempre aperte e i momenti per stare insieme sono tanti. La domenica mattina si va tutti insieme a partecipare a una gara, oppure ci si incontra presto, all’alba, per un allenamento di gruppo nei campi con arrivo, doccia e chiacchierata finale nella cantina di Antonio. Il sabato pomeriggio invece il ritrovo è al casello tra Ronco e Brugarolo, d’inverno nel casello, d’estate all’aperto. Si scambiano ricordi, progetti, si discute e si ride insieme.

Il 29 maggio 2016 è una domenica mattina come tante altre e Antonio va a correre con gli amici. Mentre torna verso casa, è colto da un malore davanti alla chiesa di Ronco, a pochi passi dal luogo dove è nato, cresciuto e ha vissuto con la sua famiglia, e ci lascia improvvisamente.

Non abbiamo avuto il tempo né l’occasione per salutarlo, per chiedergli un ultimo consiglio, per scambiare un ultimo sorriso.

La corsa che abbiamo organizzato è il nostro modo per mantenere saldo il legame speciale che ognuno di noi aveva con lui, e ricordarlo facendo ciò che amava nel paese in cui ha passato tutta la vita.

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